Il manifesto dell’edizione 1938

Il Sorteggio della coppa del Mondo 1938

“Il Littoriale” del 6 giugno 1938

Leonidas

Il rigore di Meazza: come si vede, non si tiene i pantaloncini

La Gazzetta dello Sport del 20 giugno 1938

Il 13 agosto 1936, durante le Olimpiadi di Berlino, la FIFA assegnò la fase finale dei campionati mondiali del 1938 alla Francia. La scelta fu aspramente criticata da parte delle nazioni sudamericane, convinte che, per una regola (mai scritta, comunque) di alternanza delle nazioni ospitanti tra Europa e America, questa volta sarebbe dovuto toccare a loro. In particolar modo a protestare fu l’Argentina, smaniosa di rifarsi dopo la finale persa nel 1930 e la figura non eccelsa fatta nel 1934 quando però aveva inviato – per paura del saccheggio degli oriundi – una formazione semidilettante. Si era candidata ed era appoggiata da tutte le federazioni del suo continente, ma Rimet e Delaunay decisero, non senza qualche ragione, di spingere per assegnare la manifestazione alla Francia, loro nazione di nascita. Sarebbe stato il giusto riconoscimento per il lavoro svolto nel rendere la Coppa del Mondo la manifestazione più prestigiosa in ambito calcistico. Alla fine la votazione (la prima non all’unanimità, giacché si presentarono più nazioni) fu di 19 voti per la Francia, di 4 per l’Argentina e di nessun voto per la Germania.

Il Torneo era decollato, ed aveva ormai un prestigio superiore al torneo di calcio delle Olimpiadi. Quest’ultimo, dopo che nel 1932 a Los Angeles era stato cancellato, era tornato nell’edizione 1936 a Berlino, e per dare prestigio alla gara ma al tempo stesso salvaguardare il dilettantismo tanto caro a de Coubertin, aveva aperto la partecipazione a giocatori “dilettanti o universitari”. L’ultima parola (universitari) fu l’”escamotage” che consentì alle squadre di inserire in rosa professionisti a tutti gli effetti. La vittoria dell’Italia sull’Austria, comunque, servì solo a ribadire la superiorità del calcio di Pozzo (CT anche della nazionale Olimpica).

Nella riunione del 13 agosto 1936 fu deciso anche che la formula sarebbe stata la stessa dei mondiali del 1934, e che avrebbero avuto accesso diretto alla fase finale sia la squadra della nazione ospitante sia la nazionale campione (sarebbe rimasto così fino al 2002: dal 2006 l’accesso diretto sarebbe stato riservato solo ai padroni di casa). 14 posti disponibili, quindi, per 37 nazioni iscritte. Visto il risultato del precedente mondiale, 13 posti erano riservati agli europei, 1 solo al Sudamerica, 1 al Nord-Centro America, ed 1 al resto del mondo.

Le Eliminatorie si svolsero a partire dal 1937, quando però i venti di guerra cominciavano a spirare: la Spagna – devastata dalla guerra civile – non partecipò, e con la qualificazione diretta di Italia e Francia, le contendenti, per 14 posti, furono 34. Vedremo nel seguito che ci furono ritiri dalla competizione ben più clamorosi e drammatici di questo.

Nel Nord e centro America solo Cuba non ritirò la propria partecipazione (le altre si rifiutarono ufficialmente per protestare contro la mancata “alternanza”) e fu quindi qualificata d’ufficio, mentre nel Sud America, continuando l’Uruguay nel suo sdegnoso rifiuto (ma in quel periodo aveva una nazionale molto debole) ed avendo la FIFA d’ufficio spostato la Colombia nel gruppo settentrionale, rimanevano solo Argentina e Brasile a contendersi il posto. Due squadre fortissime: si erano giocate la Copa America nel 1937 in una gara di spareggio, vinto dall’albiceleste per 2-0 nei supplementari. L’Argentina comunque, risentita per la scelta della FIFA, declinò la partecipazione, ed il Brasile si qualificò automaticamente.

Spostati (anche questi d’ufficio) Egitto e Palestina nei gironi Europei per il posto Asiatico erano in lizza due sole squadre: Giappone (che rinunciò) ed Indie Orientali Olandesi (antenata dell’Indonesia) che si ritrovò qualificata, anch’essa, automaticamente.

Mancavano quindi solo gli undici posti dell’area Europea. I gironi furono nove, uno da quattro ed uno da tre che qualificavano le prime due, e gli altri sette che più che gironi erano eliminatorie vere e proprie, con solo due squadre e la vincente a qualificarsi. Le fortissime nazionali di Austria e Ungheria avrebbero spareggiato con le vincenti di due dei sette girono “binari”. Stranamente tale vantaggio non fu dato invece alla Cecoslovacchia, finalista mondiale nel 1934. Poco male: opposta alla Bulgaria, ebbe la vita relativamente facile con un pareggio a Sofia nel novembre del ’37 (rigore all’ultimo minuto per i Bulgari), ed un sonante 6-0 a Praga il 24 aprile del ’38 (a sorteggi della fase finale già avvenuti! Ma di questo parleremo diffusamente più tardi).

Negli altri gironi, La Romania andò in Francia senza giocare in quanto l’Egitto si ritirò prima delle partite, La Norvegia ebbe la meglio sull’EIRE, la Polonia sulla Jugoslavia, e la Svizzera sul Portogallo in una partita unica giocata a Milano: 2 a 1 il risultato finale, ma il Portogallo sbagliò il primo dei due rigori concessigli.

L’Austria prese la Lettonia, che aveva sconfitto la Lituania, e la sconfisse 2 a 1 a Vienna, mentre l’Ungheria ebbe vita facile con la Grecia che aveva sconfitto la Palestina: un sonoro 11-1 (che era 11-0 fino all’89’).

I gironi che qualificavano due squadre, infine, videro Qualificate Germania e Svezia contro Finlandia ed Estonia, e Olanda e Belgio sulla solita cenerentola Lussemburgo.

Ed eccoci, quindi al sorteggio: avvenne a Parigi il 5 marzo del 1938, quando ancora c’erano 7 posti da assegnare! Il problema era ancora più serio, in quanto andavano decise le teste di serie, e senza sapere le qualificate la cosa diventava difficile… Rimet non si scompose. Decise che le teste di serie sarebbero state: Germania, Austria, Brasile, Francia, Italia (tutte già qualificate) più la vincente di Cecoslovacchia-Bulgaria (dal risultato come abbiamo visto scontato: scommessa facile), la vincente tra Ungheria e Grecia (anche qui, come abbiamo visto, scommessa facile) e la vincente tra… Cuba ed Argentina. Ma come: l’Argentina non aveva rifiutato? In realtà Rimet stava pressando fortemente affinché i sudamericani partecipassero ugualmente, e aveva offerto loro (come del resto agli USA quattro anni prima) uno spareggio fuori tempo massimo, garantendogli inoltre, in caso di vittoria, un posto tra le teste di serie. Ma alla fine (il 29 di marzo) l’Argentina decise definitivamente di non partecipare, ufficialmente per il costo elevato. Cuba era quindi – paradossalmente – testa di serie.

Tra le non teste di serie troviamo altrettanti casi strani: assieme a Norvegia, Romania e Svezia, ci furono l’Olanda (non ancora matematicamente qualificata! Aveva vinto col Lussemburgo, ma le altre due partite del girone che vedevano coinvolto il Belgio si dovevano ancora giocare, e poteva teoricamente arrivare ancora terza), e poi la qualificata tra Belgio e Lussemburgo, tra Polonia e Jugoslavia, tra Svizzera e Portogallo e, anche in questo caso stranamente, tra Indie orientali Olandesi e USA. Gli statunitensi, come già avvenuto nel 1934, ci avevano ripensato (sembrava dovessero trovare i fondi per partecipare da un’amichevole da tenere contro i maestri Inglesi), e Rimet aveva prontamente promesso alla nazionale a stelle e strisce uno spareggio con la debole formazione asiatica. Ma alla fine l’amichevole saltò, e gli USA declinarono definitivamente. Questo portò, alla viglia del mondiale ad altre polemiche, come vedremo.

Il nipotino di Rimet, che aveva 5 anni, sorteggiò il tabellone pescando le palline dall’urna, e si ebbero i seguenti accoppiamenti (sempre in ordine di tabellone: inseriremo qui la squadra che poi effettivamente partecipò):

Italia-Norvegia;

Francia-Belgio;

Brasile-Polonia;

Cecoslovacchia-Olanda;

Cuba-Romania;

Austria-Svezia;

Germania-Svizzera;

Ungheria-Indie Orientali Olandesi

Ma altre, e ben più tragiche, defezioni, dovevano ancora arrivare: Hitler aveva ormai cominciato a mettere in atto la sua folle strategia di guerra, basata sulla Pangermania e sul lebensraum (lo spazio vitale), e una settimana dopo il sorteggio aveva invaso e conquistato l’Austria, col beneplacito di Mussolini, sempre più prono al volere nazista (durante la visita del Fuhrer a Roma durante la quale vennero esposte scenografie posticce dell’impero, il poeta Trilussa scrisse la seguente quartina: “Roma de travertino, rifatta de cartone, saluta l’imbianchino, suo prossimo padrone”), e le nazionali furono, formalmente, riunificate. Arrivò alla FIFA un telegramma da Vienna che nella sua sintesi esprimeva bene la drammaticità della situazione: “Duole rinunciare alla partecipazione al mondiale. Causa: la Federazione Austriaca non esiste più”.

Rimet, come gran parte dei francesi, protestò vibratamente contro l’anschluss (annessione in tedesco) ma senza fare nulla di concreto. Il posto vuoto fu prima offerto all’Inghilterra (che al solito rifiutò sdegnata), e poi considerato come ritiro, consentendo così alla Svezia di passare ai quarti direttamente.

Va detto comunque che la Francia aveva organizzato le cose per bene: 11 stadi in 10 città (Parigi ne aveva due). A Lione, dove era prevista Austria-Svezia non si giocò, ma gli altri stadi erano ben fatti e sempre con un’ottima cornice di pubblico. Persino i giornali italiani dell’epoca, di sicuro non favorevoli alla Francia (lo slogan che riecheggiava in quei tempi bui era “E se la Francia fa la troia, Nizza e Savoia, Nizza e Savoia”) si complimentò per la perfetta organizzazione dell’evento che “non sfigurava rispetto a quello organizzato dalla FIGC nel 1934” (parole dall’editoriale di presentazione al mondiale da parte del “Littoriale”). Del resto, l’incasso complessivo della manifestazione, oltre 5 milioni di franchi, dimostra che ci fu un notevole successo di pubblico.

Dopo la defezione dell’Austria, i pronostici per le semifinali erano Italia-Brasile (o Cecoslovacchia) ed Ungheria-Germania in semifinale, con la prima nettamente favorita per la vittoria. Comunque, si pensava che la vera finale sarebbe comunque stata quella della parte alta del tabellone.

A due giorni dall’inizio dei mondiali, l’ultima grana per la FIFA: La Guyana francese protesta perché a suo dire non si sarebbe ritirata, e quindi pretendeva uno spareggio con Cuba (del resto, avevano concesso l’iscrizione tardiva ad Argentina ed USA, perché non a loro?), neanche presa in considerazione dalla Federazione, e l’Italia protesta perché tra i convocati del Brasile figura tal Niginho (oltretutto presentato come riserva di Leonidas, che dal giovane che era 4 anni prima crebbe fino ad essere considerato in patria il più forte centravanti del mondo) che altri non era che Fantoni III, centravanti brasiliano arrivato nel 1932 alla Lazio, e che tre anni dopo passò al Palmeiras (che all’epoca si chiamava palestra Italia) senza le necessarie autorizzazioni: come tanti “oriundi” dell’epoca, aveva paura di essere richiamato sotto le armi per la guerra in Etiopia: e secondo noi è questo affronto che l’Italia non mandava giù, piuttosto che il mancato nulla osta al trasferimento. Niginho, in effetti, non giocò neanche un minuto di quei mondiali, segno che le pressioni di Vaccaro (presidente della FIGC all’epoca) ebbero successo.

Ma veniamo agli incontri degli ottavi di finale: si giocarono tutti il 5 giugno tranne Germania Svizzera, anticipata al 4 perché si giocava a Parigi, ed il 5 tutti gli occhi dovevano essere puntati sulla partita della Francia. Le ostilità cominciarono subito prima della partita, quando al saluto nazista dei giocatori tedeschi il pubblico rispose con fischi e lanci di bottiglie in campo, mentre gli svizzeri tennero ostentatamente le mani lungo i fianchi. La Germania schierava anche cinque austriaci “annessi” (ma non Sindelar, il fuoriclasse, che si era rifiutato di avallare il comportamento dei nazisti), ma con tutto ciò non riuscì ad andare oltre il pareggio per 1-1. Partita dura, con molti falli ed un espulso tedesco, subissato dai fischi dei francesi. Avessero fermato Hitler con gesti concreti prima, loro e gli inglesi, invece di disapprovare solamente, forse avremmo evitato la catastrofe, secondo chi scrive. Si sarebbe ripetuta, la partita, quattro giorno dopo, il 9.

Anche Cuba-Romania a Tolosa, inaspettatamente, si dovette ripetere (sempre il 9 giugno): i Cubani, passati in svantaggio, prima pareggiarono e poi segnarono il 2-1 addirittura all’87’: la Romania pareggiò in extremis, e nei tempi supplementari un gol per parte fissò il risultato sul 3-3: i Cubani erano degli sconosciuti ed approfittarono dell’effetto sorpresa, ma il livello tecnico della partita, secondo le cronache, non fu eccelso.

La partita che di sicuro fece emozionare di più, comunque, fu quella di Strasburgo tra Brasile e Polonia: i sudamericani non ancora verdeoro (la loro maglia era bianca) alla fine del primo tempo erano in vantaggio 3-1 grazie alle reti del fenomeno Leonidas, e poi di Romeu e Peracio. Si era finalmente trovato un accordo tra i paulisti e i carioca, e la squadra era realmente la migliore possibile. Loro stessi erano convinti (ma quando mai non lo sono stati?) che avrebbero vinto facilmente. La Polonia aveva solo temporaneamente pareggiato su rigore. Ma nella ripresa cominciò a piovere, e su un campo allagato i funamboli del Sudamerica cominciarono ad avere delle difficoltà in quanto non riuscivano più a svolgere il loro spettacolare gioco (e che i tifosi neutrali, come del resto quattro anni prima, gradivano tanto da tifare per loro spudoratamente). Chiesero di poter giocare scalzi ma l’arbitro (lo svedese Eklind, che aveva arbitrato la finale del 1934) lo proibì. Cominciò lo show del centravanti polacco Wilimowski: segnò il 3-2, il 3-3 ed il 4-4 ad un minuto dalla fine dopo che Peracio aveva di nuovo riportato in vantaggio il Brasile. Tempi supplementari: tornò il sole, e con esso il bel gioco dei sudamericani: Leonidas realizza una doppietta, che la Polonia stavolta non riesce a replicare, segnando solo il 6-5 con Wilimowski di nuovo. Risultato spettacolare (quello con più reti nella storia dei mondiali fino ad allora), e il polacco autore di una quaterna (altro record che verrà battuto solo parecchio tempo dopo) a casa. Gli occhi erano tutti per Leonidas, il “diamante nero”, che alla fine risulterà il capocannoniere del campionato con sette reti.

A Reims l’Ungheria si sbarazzò con un eloquente 6-0 delle Indie Orientali Olandesi, che hanno il poco invidiabile primato di essere gli unici ad aver giocato solo una partita nella fase finale dei mondiali. Troppo evidente la differenza tecnica e tattica tra le due squadre. Allo stadio Olimpico di Parigi-Colombes, la Francia invece si impose nettamente al Belgio per 3-1. L’’attacco francese ebbe ragione con facilità dei “diavoli rossi” non ancora tali, tanto che al 12’ si era già sul 2-0.

Gli ultimi due ottavi furono invece più combattuti: La Cecoslovacchia si impose sull’Olanda solo nei tempi supplementari (0-0 dopo i 90’) segnando tre gol con Kostalek, Nejedly (il capocannoniere del 1934) e Zeman (nessuna parentela conosciuta), ed anche l’Italia – campione uscente – arrivò ai supplementari con la Norvegia. Accolta a Marsiglia dai fischi dei fuoriusciti italiani soprattutto all’atto del saluto romano (e che Pozzo fece ripetere per sfida: l’uomo, mai iscritto al PNF, era fatto così), passò in vantaggio subito con Ferraris II su corta respinta del portiere, ma subì poi per l’intera partita il veloce WM norvegese. Va detto che, anche se considerata più debole dell’Italia, la formazione scandinava non era di sicuro una cenerentola: terza due anni prima alle Olimpiadi di Berlino, aveva ceduto – anche in questo caso ai supplementari – in semifinale proprio all’Italia, che poi avrebbe vinto il titolo. Olivieri, il portiere azzurro, dovette effettuare almeno cinque grandi parate prima di capitolare a sette minuti dalla fine dei tempi regolamentari su rete di Brustad, che aveva fatto impazzire Monzeglio per tutta la partita. La Norvegia, tre minuti dopo, segnerebbe anche il 2-1, ma l’arbitro annulla per fuorigioco. Saranno supplementari: e Silvio Piola, riprendendo una corta respinta del portiere, batte furiosamente in rete il 2—1 che sarà il risultato finale della partita. Più di ogni altro commento, vale quanto scritto sui giornali sportivi italiani dell’epoca: “riconosciamo lealmente che i rossi norvegesi hanno tutto il diritto di sentirsi la bocca amara”. Sapendo come va a finire il torneo, iniziare con figuracce evidentemente agli azzurri fa bene…

Le vere sorprese, però, si ebbero nelle due ripetizioni: Cuba superò 2-1 la Romania dopo essere passata di nuovo in svantaggio, e soprattutto la Svizzera, dopo essere stata sotto 2 a 0, vinse con i tedeschi per 4 a 2! E dire che, dopo che il primo tempo si era chiuso sul 2-1 per i tedeschi, la Svizzera ha giocato in 10 tutta la ripresa per l’infortunio, chiamiamolo così, di un suo giocatore colpito duro alla…mascella ed uscito dal campo per non rientrare più (ricordiamo sempre che le sostituzioni non c’erano, all’epoca). Ma il modulo dell’allenatore della nazionale elvetica, l’austriaco Rappan, funzionava a meraviglia: il suo WM fu modificato portando uno dei 4 centrocampisti dietro i tre difensori a fungere da marcatore libero, creando così un “verrou” in difesa (in italiano: catenaccio). Come si vede, questa cosa, che passa per squisitamente italiana, fu inventata da un austriaco per una nazionale Svizzera. In Italia fu solo riscoperta, qualche anno dopo.

I quarti, quindi, da giocare tutti il 12 giugno 1938, erano definiti:

Italia-Francia;

Brasile-Cecoslovacchia;

Cuba-Svezia;

Ungheria-Svizzera.

Il quarto di finale tra i padroni di casa e gli italiani era di sicuro il più sentito: allo stadio Olimpico di Parigi erano in più di 70.000 a cercare di spingere la Francia verso la semifinale. L’avversità verso gli azzurri era tale che, arrivati da Marsiglia in treno, i giocatori italiani dovettero discutere persino con i facchini della stazione perché, prendendo personalmente le loro valigie, avrebbero “impedito il diritto dei facchini a lavorare”. Pozzo aveva digerito la mezza figuraccia fatta con la Norvegia e come prima cosa, su richiesta di capitan Meazza, concesse agli azzurri una deroga alle sue regole monacali, facendogli trascorrere una serata spensierata in una casa di tolleranza di Marsiglia (“ma mi raccomando! – Disse – Niente concessioni al vizio”), e decise tre cambi in formazione: doloroso soprattutto quello di Monzeglio – indubbiamente il peggiore nella sfida con la Norvegia – con Foni: Monzeglio, oltre a essere uno degli eroi del mondiale ’34, era amico personale del Duce, e Pozzo non era di certo uno che sfidava il potere a cuor leggero. Ma Vaccaro stavolta era con lui. E il Duce, che di calcio non ne capiva nulla del resto, si fidava del presidente FIGC. Quello che Mussolini pretese, invece, fu il colore della maglia: poiché l’azzurro toccava ai padroni di casa, noi avremmo dovuto indossare una maglia bianca oppure una rossa che ci offrirono – come scherno politico – i Francesi. L’Italia decise di scendere in campo– era la seconda volta e non lo farà mai più – in maglia nera. Immaginatevi gli insulti dei tifosi francesi. Poco male, comunque: al 9’ l’Italia era già in vantaggio: tiraccio dai 20 metri di Colaussi (che aveva preso il posto di Ferraris) e papera clamorosa del portiere Di Lorto. La Francia pareggiò un minuto dopo, spinta dalla rabbia, con Heisserer, e così si chiuse il primo tempo. Ma nel secondo sale in cattedra l’immenso Piola: segna due gol, il primo di piede ed il secondo di testa su cross di Colaussi e manda a casa i Francesi, che sportivamente, alla fine, applaudono l’Italia, così come i fuoriusciti antifascisti, che sono diventati tifosi per un giorno. L’Italia tornava a Marsiglia da semifinalista.

L’altro quarto di finale, a Bordeaux tra Brasile e Cecoslovacchia, fu molto più combattuto, ed anche più cattivo: al 15’ l’arbitro espelle Zeze, reo di un’entrata assassina su Nejedly che giocherà da li in avanti con un piede rotto. I brasiliani giocano assai bene, ma sono anche aggressivi al limite della violenza: comunque passano in vantaggio al 30’ col solito Leonidas. Al 44’, violento fallo del boemo Riha su Machado, che reagisce con un calcio (la FIFA riporta all’89’, ma le cronache dicono chiaramente che avvenne ad un minuto dalla fine si, ma del primo tempo). La ripresa si sarebbe giocata in 10 contro 9. La Cecoslovacchia attacca forsennatamente, e pareggia al 65’ su rigore. Puc, il più pericoloso dei suoi, fa un pallonetto che un difensore brasiliano ferma con la mano. Rigore che Nejedly trasforma con il piede rotto, svenendo poi per il dolore. Il risultato non cambierà neanche nei supplementari e sarà necessaria la ripetizione. A fine partita, il portiere Planicka scoprirà anche di avere un braccio rotto (uno scontro forte con Leonidas nel primo tempo supplementare, tanto che anche il brasiliano rimase fuori praticamente per tutti i 15’ del secondo tempo supplementare). Nella ripetizione, giocata il 14, il Brasile cambia nove uomini, lasciando solo il portiere e Leonidas tra quelli che avevano giocato due giorni prima, la Cecoslovacchia invece ne cambierà solo quattro (tra cui però il portierone Planicka e il centravanti Nejedly, entrambi con fratture). Le cronache parlano di un Brasile in grado di stupire per bellezza tecnica e vigore agonistico, costantemente proteso in attacco. Eppure, passò in vantaggio la squadra europea in contropiede. Nel secondo tempo, si scatena Leonidas: gol ed assist. Brasiliani in semifinale con l’Italia e che cominciano a mettere veramente paura: i commenti dell’epoca li paragonano agli uruguaiani che vinsero le olimpiadi nel ’24. Per la Cecoslovacchia, l’immagine dei loro due campioni costretti a lasciare il campo per le fratture riportate è quella che meglio rappresenta le sofferenze di quella terra sfortunata, smembrata dalla follia nazista solo pochi mesi dopo il Mondiale.

Gli altri due quarti di finale sono senza storia: la Svezia – che per la protesta della Guyana francese rischiava di entrare in semifinale senza neanche giocare una partita – seppellisce Cuba, stanca dalla ripetizione ed in difficoltà tecnica sul terreno umido, per 8-0. Cuba da l’addio alla fase finale dei mondiali per non vederli, fino ad ora, mai più. L’Ungheria, a Lille su un campo lungo meno di 100 metri, vince facilmente 2-0 sulla Svizzera priva dei suoi uomini migliori affaticati dopo la ripetizione con la Germania. Apre il solito Sarosi al 20’, e ad un minuto dalla fine c’è il raddoppio di Zsengeller. Ungheria-Svezia sarà la seconda semifinale.

Le semifinali, che si sarebbero giocate tutte e due giovedì 16 di giugno, avevano quindi differenti aspettative: se L’Ungheria era ormai considerata strafavorita con la Svezia per la finale del 19 a Parigi, l’incontro di Marsiglia tra Italia e Brasile (primo di una serie che ha segnato la storia dei mondiali di calcio) era visto come una finale anticipata. I sudamericani, sicuri della finale, prenotarono il volo per Parigi in largo anticipo e quando la FIGC chiese, nell’eventualità che i finalisti non fossero loro, di dargli i biglietti (all’epoca volare non era quella cosa semplice che è oggi, ovviamente) quasi venne respinta con risate. Pozzo sfruttò questa cosa per caricare i giocatori (Brera racconta che Meazza, al sentirsi dire questo, urlò: “Bauscioni de l’ostia!”, ma il buon Gianni romanzava troppo: lo vedremo poi) senza questa volta la necessità di visite di piacere.

Come previsto, comunque, l’Ungheria si mangiò la Svezia per 5-1. Dopo essere passata in svantaggio già al 1’, la squadra magiara si rifece rapidamente con i soliti Sarosi e Zsengeller, chiudendo il primo tempo 3-1 a segnando altri due gol nella ripresa. Interessante il commento sulla Svezia che riportano i giornali: “non ha potuto dare mostra della sua bravura, in quanto troppo deboli i cubani e troppo forti gli ungheresi”.

A Marsiglia, invece, la partita fu ovviamente molto più combattuta. Innanzitutto, a sorpresa, Leonidas non era in campo. Ufficialmente per infortunio ma non si saprà mai se, ebbri come al solito della loro superiorità, i brasiliani non abbiano deciso di farlo riposare in vista della sicura finale. Poiché Niginho non giocò per il rischio della squalifica gli attacchi brasiliani, ancorché continui per tutto il primo tempo, furono abbastanza sterili, anche perché la difesa azzurra interveniva sempre, una volta che la palla era ai limiti dell’area, raddoppiando o triplicando il portatore. Piola se la vide brutta con il difensore Domingos, che oltre ad avere la sua stessa stazza era anche un virtuoso con i piedi, ed addirittura le croncache raccontano di un sombrero che fece innervosire non poco il buon Silvio. Terminato però il primo tempo sullo 0-0, nel secondo cominciò la riscossa azzurra: al 6’ segna Colaussi, ed al 15’, dopo una lotta a due in area tra Domingos e Piola (fallo del primo, reazione del secondo e calcione del primo di nuovo), che l’arbitro vede solo nella sua fase finale, viene fischiato un rigore all’Italia. Brera racconta che Meazza aveva l’elastico dei pantaloncini rotti e che tirò e segnò tenendoseli con una mano. A vedere le immagini, nulla di più falso: se l’elastico si ruppe, non lo diede a vedere: si sistemò i calzoncini, fece due passi e spiazzò il portiere, che si era tuffato sulla sinistra, con un tiro nel “sette” opposto. Non ci sono immagini di lui che si cambia i calzoncini, anche se viene raccontato da tutti. Il forcing finale dei brasiliani, che fruttò un solo gol di Romeu ad un minuto dalla fine, fu inutile: 2-1 ed Italia in finale. A vedere quelle immagini in bianco e nero, ed a leggere e cronache dell’epoca, la partita ricorda un po’ Italia Argentina del 1982. Stesse dinamiche, stesso risultato.

Le due finali si giocarono entrambe il 19 di giugno alle 17.00. In quella per il III e IV posto il Brasile, con Leonidas di nuovo in campo, decise di cominciare a giocare alla fine del primo tempo, quando si trovava già sotto per 2-0. Dimezzato lo svantaggio ad un minuto dall’intervallo, nella ripresa sale in cattedra Leonidas: sbaglia un rigore, segna una doppietta ed infine Peracio fissa il punteggio sul 4-2. Terzi, i sudamericani, quando sognavano già la vittoria nel mondiale: erano così indispettiti che neanche diedero i loro biglietti aerei per Parigi agli italiani, che dovettero raggiungere la capitale francese di nuovo in treno. Menzione speciale per l’arbitro della finalina: Jean Langenus, quello della prima finale a Montevideo, che chiudeva così la sua carriera di arbitro della manifestazione.

Ma la partita che tutti attendevano era ovviamente la finalissima allo stadio Olimpico di Parigi: l’Italia partiva con i favori del pronostico, ma l’Ungheria arrivava con tre vittorie dove mai la sua superiorità era messa in discussione. Ecco le formazioni: L’Italia schiera Olivieri, Foni, Rava; Andreolo, Serantoni, Locatelli; Biavati, Meazza, Piola, Ferrari, Colaussi. L’Ungheria risponde con Szabo, Polgar, Biro; Szalai, Szucs, Lazar; Saas, Vincze, Sarosi, Szengeller, Tiktos. Arbitro il francese Capdeville. Squadre schierate entrambe col metodo, sarà il canto del cigno per questo schieramento tattico.

La partita assume subito una fisionomia ben precisa: Italia in attacco ed ungheresi contratti. Al 6’ Andreolo ruba palla nella propria metà campo, lancio per Meazza che libera per Biavati sull’ala destra: cross e Colaussi, al volo di sinistro, insacca.

La rete subita da una scossa ai magiari, che due minuti dopo pareggiano con Tiktos, che dal vertice sinistro dell’area lascia partire un fendente imparabile per Olivieri. Tutto da rifare. Poco male: l’Italia riprende rapidamente il suo gioco e prima prende un palo clamoroso con Piola al 12’ e quattro minuti dopo ripassa in vantaggio: azione manovrata con quattro passaggi in area ungherese; nell’ultimo, Meazza finta il tiro ma passa a Piola che con una bordata nel sette segna di prepotenza: uno dei più bei gol visti in una finale mondiale. L’Italia continua a premere, ed al 35’ Colaussi, liberato in area, con un preciso tiro a giro mette la palla sul secondo palo: è 3-1. Il primo tempo termina così, con gli applausi dei francesi per questa fantastica squadra.

La ripresa è caratterizzata dagli attacchi magiari e dagli azzurri che agiscono di rimessa con contropiedi che mettono paura. Gli ungheresi, comunque, riducono lo svantaggio con Sarosi lesto a mettere in gol un cross dall’ala destra.

3-2 e partita riaperta, siamo al 70’. Ma l’Italia è veramente troppo forte per questa Ungheria: all’82’, cross di Biavati e Piola, di destro, indovina l’angolino opposto: 4-2. Il risultato non cambierà più. Su tre finali mondiali, è la seconda volta che il punteggio finale è questo. Da allora capiterà altre due volte, rendendo il 4-2 il risultato più frequente delle finali di Coppa del Mondo a oggi.

Pozzo, con i suoi piccoli occhiali rotondi che metteva solo in occasione delle partite, può finalmente esultare a braccia levate. Alle 18.55 la partita termina e l’Italia è per la seconda volta (su tre) campione del mondo. Nicolò Carosio urla dai microfoni dell’EIAR “Campioni del mondo! Campioni del mondo!” e milioni di italiani (le radio nelle case degli italiani non erano ancora molte, ma come quattro anni prima, erano stati piazzati megafoni nelle principali piazze del paese) possono esultare per un evento sportivo. Sarà l’ultima volta prima di una guerra che ridurrà in ginocchio il paese.

Per il 1942 i candidati per ospitare la fase finale dei mondiali erano Brasile e Germania, ma ormai i tempi per pensare a giocare erano terminati: iniziava la tragedia, ed anche la Coppa della Vittoria dovette aspettare. Anzi rischiò di scomparire. Ma di questo parleremo più avanti.

Leonidas, venerato in patria come l’inventore della “bicicletta”, oltretutto, segnò alla fine 21 gol in 19 presenze per la nazionale brasiliana. Divenne prima manager del San Paolo e poi commentatore radiofonico. Morì, devastato dall’Alzheimer, nel 2004. Wilimowski, l’autore della prima quaterna ai mondiali, nel 1941 sotto occupazione nazista prese la cittadinanza tedesca, e fu considerato dai polacchi un traditore. Non tornò mai più in patria, morendo nel 1997 in Germania. Di Piola e Meazza conosciamo tutto, meno nota è la vicenda di chi segnò l’altra doppietta in finale: Colaussi che, smesso di giocare nel ’50, cadde in miseria e ricevette un vitalizio dallo stato solo nel 1986, per poi morire dimenticato da tutti nel ’91.