Ricorre in questi giorni il trentennale del primo arresto di quella che fu poi definita “Mani Pulite”. Per questa occasione non vorrei riaprire, né tantomeno creare polemiche, sul ruolo della magistratura, toghe politicizzate, e quant’altro, bensì cercare, a quattro lustri di distanza, di inquadrare quel periodo storicamente, anche se per molti di noi è stata più che altro “cronaca”.Infatti, a mio modo di vedere, quegli eventi vanno inquadrati in un contesto molto più generale e storico, che si usa chiamare con il termine, assolutamente inappropriato, di “Fine della Prima Repubblica”.

 

Inappropriato perché a tutti gli effetti non c’è stato nessun cambio di regime costituzionale che possa giustificare tale termine. La polemica (sterile, per quanto mi riguarda) sulla differenza tra Costituzione formale e sostanziale non intacca per nulla tale considerazione: per fare un esempio, l’evasione fiscale è sempre stata un reato, ed il fatto di sentirsi moralmente giustificati ad evadere se c’è un presidente del consiglio, ed essere additati come parassiti se ce ne è un altro non cambia la sostanza della cosa: l’evasione fiscale contravviene alle leggi dello stato.

 

Mani pulite, dicevamo: il 17 febbraio del 1992 il presidente della Baggina di Milano, Mario Chiesa, fu preso con le mani nel sacco (e nel cesso, visto che secondo quanto si racconta cercò di nascondere 37 milioni proprio lì, oltretutto tirando lo sciacquone) mentre intascava una tangente. Chiesa, arrestato in flagranza di reato e visto che Di Pietro gli aveva scoperto anche i conti in Svizzera (i conti si chiamavamo “Levissima” e “Fiuggi”: il PM informò discretamente l’avvocato di Chiesa che “l’acqua minerale era finita”) sbragò e cominciò a parlare: uscì fuori un marciume istituzionalizzato per cui le tangenti sugli appalti erano cosa comune: a Milano, addirittura esisteva un “manuale Cencelli” della stecca: 37% al PSI, 17,5% ciascuno a DC e PCI/PDS, 8% al PRI, il resto ai partiti minori (erano fuori Solo il MSI e la sinistra di rifondazione, all’epoca). Fu uno tsunami che spazzò via i vecchi partiti e le vecchie strutture politiche di governo e di opposizione che per circa 50 anni avevano retto l’Italia.

 

Come si era arrivati a ciò? Qui inizia il contesto storico. Con l’inizio degli anni ’80 e la certificazione del “preambolo” da parte della DC (la definitiva chiusura ad una collaborazione di governo con il PCI, segnando la fine del periodo del compromesso storico) apparve evidente che l’unico governo stabile dovesse comprendere il PSI, che divenne l’”alleato controvoglia” di quasi un decennio. Mi sembra fosse Andreotti a dire che “governare con il PSI è difficile, ma senza è impossibile. Craxi, uno degli ultimi veri animali politici, capì meglio e prima di altri la situazione e la sfruttò mirabilmente, fino a diventare il cardine centrale di oltre 10 anni di politica italiana. Tutto questo, però, aveva un prezzo alto: far vivere – economicamente – il PSI al livello degli altri due maggiori partiti, finanziati, ed in maniera importante, da fattori esterni figli degli equilibri post seconda guerra mondiale. Il sistema delle tangenti, che sicuramente non è nato con Chiesa, nacque come uso sistematico proprio in quel periodo. Craxi in pratica applicò al proprio partito quello che fece a livello politico: indebitò il paese per consentire un recupero di posizioni. A livello Italia, portò la nostra economia tra le prime cinque nel mondo a costo di un innalzamento drammatico del debito pubblico (dal 70 al 92% del PIL) che prima o poi avremmo dovuto comunque pagare. A livello partito, lo arricchì con “stecche” che comunque indebitavano l’Italia, in quanto alla fine erano soldi che si riversavano sugli appalti pubblici gonfiati e mai terminati. Che il sistema fosse destinato a non durare in eterno lo capì, nella DC, il solo De Mita che disse, nel 1988, che disse, quando divenne presidente nel consiglio: «Questo governo ha davanti a sé non una crisi di governo o di formula, ma la crisi del nostro sistema politico tutto intero»

Il crollo del muro di Berlino accentuò – peggiorandolo quantitativamente – questo andazzo. Senza più i fondi esterni, DC e PCI cominciarono ad usare il sistema Craxi per mantenere strutture elefantiache che, ricordiamocelo perché si tende a dimenticare tutto in questo nostro paese ancorato solo al presente, cominciavano a diventare sempre più distanti dalla realtà della nazione. Oltretutto, la fine di ciò che DC e PCI hanno rappresentato per quattro decadi in termini di ideologia rendeva queste strutture ormai incapaci di rigenerarsi obsolete dal punto di vista politico.

 

A mio modo di vedere, quindi, mani pulite emerse in quegli anni perché non esisteva più la ragione politica per cui tale malaffare potesse essere giustificato. Che il PCI/PDS solo si salvò è, consentitemi, una bufala bella e buona: innanzitutto perché la certificazione del fallimento politico di quell’esperienza si ebbe ben prima del 1992, con la creazione di un partito amorfo, che ancora oggi sta cercando la sua ragione d’essere (la DC riuscì a congelare, imbalsamandola, la sua situazione per altri tre anni grazie alla cura del CAF), e poi perché i funzionari PCI/PDS indagati/processati/condannati/prescritti (i numeri sono impietosi, quando si è arrivati a giudizio si è condannato in oltre il 90% dei casi. Altro che “teoremi giudiziari”!) sono quantitativamente tanti quanti quelli della DC e del PSI. Esemplare fu la requisitoria di Di Pietro per la maxi tangente ENIMONT (Cusani, l’avvocato Speziali, a ripensarci oggi pareva Perry Mason, invece che la summa della decadenza politica di un sistema). Dimostrò la tangente verso il PCI/PDS, dimostrò che Cusani (mi sembra, vado a memoria) portò i soldi (credo un miliardo di lire) a Botteghe Oscure, ma non riuscì, come disse lui, ad aprire la porta dietro la quale lo scambio avvenne. Non si possono accusare i partiti di corruzione, ma solo le persone, continuò, quindi non poteva procedere. Ma la condanna morale, da quella requisitoria, arrivò forte e chiara.

 

Craxi commise a questo punto, come dice molto saggiamente Massimo Fini, il suo più grande errore politico: invece che effettuare la chiamata di correità all’arresto di Mario Chiesa, la fece un anno dopo quando, ormai finito politicamente, era additato da tutti come la sorgente di tutto il marcio italiano (come ci piace, come italiani, fare gli osanna ed i crucifige: ci evita di fare scomodi paragoni tra il santo o il diavolo e noi stessi…). All’arresto di Mario Chiesa avrebbe avuto un senso molto profondo: voleva dire che avevano beccato non il più cattivo, ma semplicemente il più fesso, in quanto tutti i partiti facevano così. Del resto, i primi scricchiolii li avrebbe dovuti leggere con il referendum sulla preferenza unica del 1991, ma anche li fu cieco. Soprattutto lui, come altri, sottovalutarono l’enorme forza di protesta che confluì nella Lega, partito “ignorante” ma proprio per questo ben visto da chi non ne poteva più della politica. Grillo, come si vede, non ha inventato nulla. Bossi fu poi corteggiato a destra ed a sinistra, andando poi dove il portafoglio lo comandava.

L’effetto emozionale e mediatico, comunque, fu enorme: mi ricordo (avevo 24 anni) questo senso di rinnovamento politico e sociale che il fenomeno “Mani pulite” portava: lo spazzare via quei volti detestati, la nuova legge sulle elezioni del sindaco con l’impegno di tanti per la persona e non più per il partito (il MSI riuscì quasi, con Fini, a prendere Roma. Fu poi sconfitto da Rutelli, con il quale per un certo periodo ha anche condiviso la parte politica).

 

Poi si sa come andò a finire: la mafia e la sua fase stragista, Falcone e Borsellino trucidati, la politica italiana che non era in grado di nominare né un gabinetto ministeriale né un presidente della repubblica e solo la strage di Capaci mise Scalfaro (ironia della sorte: uno dei più accesi conservatori visto con simpatia dalla sinistra) al Quirinale. E poi il governo Amato e la sua ricetta lacrime e sangue, il governo Ciampi ed i referendum passati in blocco senza neanche sapere bene cosa si votava (avevamo abolito il finanziamento pubblico, il ministero dell’agricoltura, la Iervolino Vassalli sul consumo di droghe leggere). La trattativa stato-mafia, su cui ancora oggi si sa poco o nulla e la comparsa, come “il nuovo” di Silvio Berlusconi, compare d’anello del cinghialone (Come Craxi veniva chiamato da Vittorio Feltri) e rappresentante di interessi (suoi e di altri) che solo un cieco può non vedere. La magistratura passò rapidamente da eroe nazionale, quale non era, a reietta per voler “fare politica” (e non era vero neanche questo).

 

Insomma, a farla breve, un periodo in cui se fossimo stati un popolo maturo potevamo crescere attraverso sacrifici duri. Ma abbiamo preferito il passo doppio classico italiano, la finta rivoluzione in accordo con i carabinieri, il tepore dei nostri interessi privati. Che tristezza…