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Nel 1848 l’Europa fu sconvolta da una crisi rivoluzionaria, di fatti l’espressione «quarantotto» è sinonimo di «sconvolgimento improvviso e radicale». Di particolare importanza, è il fatto che il moto rivoluzionario si irradiò, dalla Francia, al resto del continente Europeo, lasciando esclusi solamente la Russia zarista e la Gran Bretagna: per la prima, fu dovuto al fatto che ivi l’arretratezza dello stato civile e l’efficienza del sistema repressivo impedirono il sorgere di fermenti democratici; per la seconda la situazione era diversa, infatti qui il sistema politico si dimostrava più adatto ad accogliere le spinte della società.

Il grande moto del ’48 coinvolse aveva come ossatura mutamenti sociali e politici. Ad una prima occhiata si direbbe che curioso il fatto che i moti dilagarono i così tanti paesi che in fin dei conti erano molto diversi tra di loro, basti pensare alla Francia di Luigi Filippo e all’Impero austriaco. Vi erano altri fattori che permisero lo scoppio dei moti. Per il biennio precedente (46-47), l’Europa aveva attraversato una fase di crisi del settore agricolo, industriale e commerciale, che a loro volta avevano provocato carestie, miserie e disoccupazione, il tutto aveva creato un generale clima di malessere nella popolazione del Vecchio Continente. Disagio economico e inquietudini erano però fattori necessari ma non sufficienti a dare il via ad una rivoluzione, il fattore decisivo per lo scoppio si rivelò essere l’azione consapevole svolta dai democratici di tutta Europa. Azione democratica che affondava le sue origini nella parte intellettuale della società, che a sua volta trovava le origini nella Rivoluzione francese, tradizione che era ancora viva e aspettava solo il momento opportuno per fare il balzo in avanti dando slancio ad al moto per l’emancipazione politica e nazionale. Da qui ci si ricollega a quel filo rosso comune a tutta Europa: la richiesta di libertà politiche, di democrazia e l’emancipazione nazionale. Ebbero così luogo le grandi dimostrazioni popolari nelle capitali, che sfoceranno in scontri armati.

Gli storici concordano nello stabile che i moti del ’48 chiudono la stagione delle rivolte borghesi (quella delle rivoluzioni liberali, legate appunto alla borghesia, e alle sommosse urbane) e apra quelle delle masse popolari, dagli obbiettivi nono solo politici ma anche sociali. A Parigi, la componente operaia e popolare si mosse relativamente in autonomia rispetto alla componente borghese delle forze democratiche e cercò di imporre obbiettivi specifici nella sua lotta. Non è un caso che nel gennaio del 1848, poco prima dello scoppio dei moti, era stato scritto il manifesto dei comunisti di Marx ed Engels, destinati a diventare la base della rivoluzione proletaria. L’intervento delle masse popolari sulla scena e del movimento operaio (di cui il ’48 è considerato l’anno di nascita) segna una delle date più significative a livello storico per la periodizzazione: la fine dell’età moderna e l’inizio di quella contemporanea.

Ancora una volta il centro del moto rivoluzionario fu la Francia, dove la monarchia liberale di Luigi Filippo d’Orleans era sì tra i regimi meno oppressivi del continente, ma dove la maturazione economica, civile e culturale della società francese rendevano meno tollerabili i limiti oligarchici. Si andò così a formare un vasto fronte d’opposizione che comprendeva liberali progressisti, democratici, bonapartisti, socialisti, opinione pubblica cattolica e legittimista. L’obbiettivo dei democratici era quello di raggiungere il suffragio universale, il principio di sovranità popolare, mezzo più sicuro per poter arrivare alla giustizia sociale tanto ricercata. Il problema qui era rappresentato dal fatto che, all’interno del Parlamento, i democratici erano netta minoranza, così cercarono di trasferire la loro protesta nel «nel paese reale» attraverso la campagna dei banchetti: riunioni svolte in privato che aggiravano i divieti governativi e consentivano ai capi dell’opposizione di tenersi in contatto con i loro seguaci e al contempo di fare propaganda per la riforma elettorale.

Il 22 febbraio del 1848 era previsto un banchetto a Parigi, che però venne proibito dalle autorità monarchiche, questo innescò la crisi rivoluzionaria. Lavoratori e studenti parigini si mobilitarono in una grande manifestazione di protesta. Per impedirla il governo si rivolse alla Guardia Nazionale, già utilizzata in passato per la repressione politica, ma questa fece fronte comune con i manifestanti e fu necessario l’intervento dell’esercito, che a sua volta portò agli scontri armati per le vie di Parigi. Dopo due giorni di scontri armati e barricate, gli insorti erano i padroni della città. Luigi Filippo abbandonò la capitale. La sera del 24 febbraio all’Hotel de Ville (il municipio parigino, naturale punto differimento per tutte le rivoluzioni) veniva istituito un governo che si pronunciava a favore della repubblica e annunciava la convocazione di un’assemblea costituente a suffragio universale. Era nata la Seconda Repubblica Francese.

Al governo figuravano tutti i capi dell’opposizione democratico-repubblicana (l’avvocato Ledru-Rollin, il leader più in vista con la responsabilità degli Interni; mentre gli esteri furono affidati al poeta de Lamartine) ed erano presenti anche due socialisti: Louis Blanc e Alexandre Martin. L’inclusione al governo dei due rappresentanti dei lavoratori – fatto inedito all’interno della politica europea – dava un riflesso della forza del popolo parigino, protagonista delle giornate di febbraio e riaffermava la vocazione sociale della neo nata repubblica.