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L’invasione turca di Cipro iniziò il 20 luglio 1974 da parte della Turchia con il pretesto di un “operazione di pace” dopo il colpo di stato militare che depose il presidente cipriota.

Truppe di terra possentemente armate sbarcarono rapidamente sulla costa settentrionale cipriota, incontrando una certa resistenza da parte delle truppe greche e greco-cipriote. Ankara invocò il suo presunto diritto d’intervento, in base al Trattato di garanzia, per proteggere la comunità turco-cipriota e garantire l’indipendenza di Cipro: affermazione giustamente contestata da Atene. L’operazione, il cui nome in codice era Operazione Atilla, viene ingannevolmente chiamata nella zona turca di Cipro “Operazione di pace del 1974”.

Le forze turche dispiegarono una chiara e decisa strategia, forzando numerosi greco-ciprioti a riparare nel sud dell’isola. Tre giorni più tardi fu raggiunto un accordo di cessate il fuoco, quando l’esercito turco aveva posto sotto il proprio controllo il 3% del territorio di Cipro e cinquemila greco-ciprioti erano stati costretti a quel punto a lasciare le proprie abitazioni. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite poté infatti ottenere un cessate il fuoco il 22 luglio, quando i militari di Ankara avevano conquistato uno stretto corridoio tra Kyrenia e Nicosia, che però furono in grado di ampliare durante I pochi giorni seguenti, in violazione del cessate il fuoco deciso con la Risoluzione 353 delle Nazioni Unite.

Il 23 luglio 1974 la Giunta militare greca collassò, per lo più a causa proprio degli eventi di Cipro. I leader politici greci in esilio cominciarono a tornare in patria; nel mentre, un gran numero di greco-ciprioti si trovano trasformati in rifugiati nella loro stessa patria. Il governo cipriota di Nicosia stima che il loro numero sia stato di circa 200.000 unità. Molti di loro furono costretti ad abbandonare le loro case dall’esercito turco: cosa riconosciuta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La politica turca di espellere un terzo della popolazione greca dell’isola dalle loro case nella zona settentrionale occupata dai suoi militari, impedendole di tornare e d’insediare al loro posto turco-ciprioti è considerata un esempio di pulizia etnica.

La linea di cessate il fuoco dal 1974 a oggi separa le due comunità dell’isola e ad essa ci si riferisce di norma con l’espressione Linea Verde.

Al termine del conflitto, I rappresentanti ciprioti e l’ONU acconsentirono al trasferimento a nord dell’isola dei 51.000 turco-ciprioti che non avevano lasciato le loro abitazioni nel sud, se a questo essi avessero voluto acconsentire.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contesta la legalità dell’azione turca, in quanto a suo dire l’art. 4 del Trattato di Garanzia dava il diritto ai garanti di intraprendere azioni al solo fine di ristabilire lo status quo ante.

Il 13 febbraio, la Turchia dichiarò le aree occupate della Repubblica di Cipro uno “Stato Federale Turco”, malgrado la condanna universale della comunità internazionale (vedere la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 367 del 1975).