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«Così infinitamente rendo grazie a Dio che si sia compiaciuto di far me solo primo osservatore di cosa ammiranda e tenuta a tutti i secoli occulta». Così, il 30 gennaio 1610, Galileo annunciava la scoperta dei satelliti di Giove, i primi corpi celesti a essere aggiunti al sistema solare dai tempi delle osservazioni degli antichi greci.

Negli anni successivi alla pubblicazione della sua opera Sidereus Nuncius, nella quale abbracciava la teoria copernicana e il sistema eliocentrico, Galileo diede alle stampe diverse altre opere, che gli valsero un primo richiamo da parte dell’Inquisizione.

Ma l’elezione al soglio pontificio di papa Urbano VIII incoraggiò lo studioso a continuare per la sua strada. Così, avendo ricevuto varie denunce contro Galileo, il Santo Uffizio lo convocò a Roma per metterlo a processo. Tra l’aprile e il giugno del 1633 egli subì quattro interrogatori, nei quali cercò vanamente di difendersi. Ne seguirono la sentenza e l’abiura del copernicanesimo.

La pubblicazione del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo segnò la condanna di Galileo, che già nel 1616 aveva subito dal Sant’Uffizio una diffida dal professare la teoria copernicana. Il tribunale dunque stabiliva:

Essendo che tu, Galileo fig.lo del q.m. Vinc.o Galilei, Fiorentino, dell’età tua d’anni 70, fosti denunziato del 1615 in questo S.o Off.o, che tenevi come vera la falsa dottrina, da alcuni insegnata, ch’il Sole sia centro del mondo e imobile, e che la Terra si muova anco di moto diurno; ch’avevi discepoli, a’ quali insegnavi la medesima dottrina […]. Che il Sole sia centro del mondo e imobile di moto locale, è proposizione assurda e falsa in filosofia, e formalmente eretica, per essere espressamente contraria alla Sacra Scrittura; Che la Terra non sia centro del mondo né imobile, ma che si muova eziandio di moto diurno, è parimente proposizione assurda e falsa […]

E acciocché questo tuo grave e pernicioso errore e transgressione non resti del tutto impunito […]. Ordiniamo che per publico editto sia proibito il libro de’ Dialoghi di Galileo Galilei. Ti condanniamo al carcere formale in questo S.o Off.o ad arbitrio nostro. E così diciamo, pronunziamo, sentenziamo, dichiariamo.

Così, la mattina del 22 giugno 1633, Galileo fu costretto a pronunciare una pubblica abiura inginocchiato davanti ai cardinali inquisitori:

Io Galileo, figlio di Vincenzo Galileo di Fiorenza, dell’età mia d’anni 70, constituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi eminentissimi e reverendissimi Cardinali […], sono stato dichiarato dal Sant’Uffizio come veementemente sospettato di eresia, cioè d’aver tenuto e creduto che il Sole sia centro del mondo e imobile e che la Terra non sia centro e che si muova; […] con cuor sincero e fede non fìnta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie, e generalmente ogni e qualunque altro errore , eresia e setta contraria alla Santa Chiesa; e giuro che per l’avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione. […] Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra.