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Hai dodici anni e tuo babbo, classe 58, ti fa ascoltare una canzone. Non sei una cima in inglese e certamente a quell’età non hai chissà quale bagaglio culturale. E allora ti lasci andare all’ascolto e succede che rimani folgorato.

“The long and winding road”, parte così, con il titolo nel primo verso di quella che considero, a distanza di anni, la più bella melodia mia incisa. Perché quelle parole non sono solo parole, ma sono già elementi di una delle introduzioni più iconiche della musica pop. Queste le parole di Paul McCartney, un po’ di parte.

Certo, a quell’età non conosci la storia che si cela alle spalle di un pezzo del genere, probabilmente non ti rendi neanche conto dell’importanza culturale apportata dal gruppo che l’ha scritta. Eppure, ti lasci coinvolgere da un suono che sa cullarti, avvolgerti in un velo di spietata dolcezza da cui, in qualche modo, trapela un nodo di malinconia.

Allora, passano gli anni, e scopri che The Long And Windind Road è l’ultimo singolo dei Beatles, uscito l 13 giugno 1970, il loro testamento artistico, o meglio, il testamento artistico di Paul McCartney, considerando che proprio lui ha scritto il pezzo. Scopri che, essendoci già degli scazzi tra i membri della band e trovandosi Paul fuori città, gli altri decisero di incidere il suo brano, sul disco Let It Be, ingaggiando Phil Spector come arrangiatore. La versione ufficiale, quella che ho conosciuto io, è quindi in realtà un pezzo decisamente diverso da come lo avrebbe voluto il suo autore, Paul. Da un brano piano-voce, privo di qualsiasi decorazione eccessiva, nacque così una canzone infarcita di archi e di orchestra, secondo la tecnica del “muro del suono”, adottata da Spector. Inutile dire che Paul non rimase contento, ma questa fu soltanto la goccia che fece traboccare l’ormai insostenibile vaso. Nel pezzo, inoltre, John Lennon non sembra impegnarsi troppo nel suonare il basso, strumento da lui utilizzato sporadicamente, compiendo diversi errori tecnici.

Personalmente però, il risultato finale, quello inciso su disco, quello che ho ascoltato per primo e che mi lasciò commosso, riesce a soddisfarmi più di qualsiasi altra versione, uscita solo in seguito, io abbia sentito. Troppo pomposo, diranno alcuni. Troppo eccessivo, diranno altri. Ma io trovo che l’orchestra che accompagna la melodia scritta da Paul dia qualcosa in più, una sorta di valore nostalgico, ma nello stesso tempo il perfetto sentire della fine di un viaggio, di un film, di un’epopea nata una decina di anni prima e che voglia lasciare ai posteri il compito di scrivere un’altra storia, un altro percorso, un diverso cammino che ci porterà fino ai giorni nostri.