Ma veniamo al secondo punto che viene proposto dai credenti: l’universalità della fede. Tutti abbiamo fede, anche perché solo avendo fede siamo sicuri che facendo un passo andremo avanti e non invece per terra. Non conoscendo il futuro, nessun futuro, agiamo per fede.

 

Per rispondere a tale considerazione bisogna partire da un assunto importante: La fede non va criticata. Chi la possiede (non è vero che è qualcosa di universale, ma ci arriveremo poi) ha un bagaglio, una “cassetta degli attrezzi” a cui far riferimento per le difficoltà e le gioie della vita. Ma la fede, qualsiasi fede, non può essere usata come argomento nelle discussioni. Perché comunque è espressione di un singolo, per quando si possa raggruppare in religioni più o meno fondamentaliste, e perché essendo dogma (una fede non dogmatica non sarebbe fede: Non ha senso dire “Ho fede che Dio forse esista”) non è discutibile. Prendiamo l’esempio della fede nel passo con cui inizio l’articolo: questa ha un paio di assunti che possono sembrare così ovvi da essere dati per certi, ma che non lo sono per nulla: Il primo è che noi SCEGLIAMO di fare un passo (non è così, il movimento è connaturato a tutti gli esseri viventi non vegetali: un lombrico non si muove perchè sceglie di farlo, o perché ha fede che così andrà avanti: tutto ciò presuppone un’astrazione di pensiero che almeno nei lombrichi sembra non esistere); ma soprattutto non “CREDIAMO” che avanzando col piede cammineremo; lo facciamo perché proviamo a farlo, consapevoli di esperienze passate e istinto dovuto a stimoli esterni.

 

Anche qui, una rana non salta perché CREDE di muoversi. Lo fa perché le reazioni al mondo esterno, forse fatte anche tramite una copia afferente del mondo esterno “depositata” nel cervello, la portano a saltare per raggiungere lo scopo di muoversi.

 

Quindi, quando si parla di Fede – per definizione non criticabile, come detto – si entra in un mondo dove ciò che si costruisce è non comunicabile, perché la si ritiene verità assoluta – e quindi manca la discussione – e perché oggetto completamente estraneo alla realtà sensibile (che si basa su fatti). Da discutere, oltretutto, è la “fede in che cosa”: il concetto di “Dio”? (non “Dio”, che è la reificazione del concetto, e che negli ultimi secoli ha fatto una discreta quantità di danni – la reificazione, intendo). O anche in altro (a esempio, nel movimento compiuto col passo)? Sono due cose molto diverse. La prima è indimostrabile” (il concetto di Dio), la seconda può essere soggetta a un esperimento. Ossia è falsificabile. Questo è per me di basilare importanza.

 

Potrebbe allora l’amore verso un altro essere umano essere confrontato con la fede? Crediamo di amare o di essere amati senza che ci siano motivi razionali, quasi sempre. E ci innamoriamo sulla base di sensazioni che non hanno una “causa”, ma che si palesano direttamente come effetti.

In un certo senso, questo è vero: Se pensiamo a come ci si innamora, non viene in mente nulla che sia replicabile o falsificabile. E l’amore è sicuramente un sentimento universale.

Il fatto è che – al di là di descrizioni efficaci dal punto di vista letterario ed emotivo – anche l’innamoramento è dovuto a stimoli fisiologici ben precisi (il fatto che non sappiamo come e perchè vengano generati non vuol dire che non ci siano o che non lo sapremo mai) e soprattutto – a differenza della fede – cambia nel tempo. Può rimanere irrazionale, si può amare senza speranza di essere contraccambiati, ma di sicuro non parliamo dello stesso sentimento a 14 anni o a 70. Non possiamo paragonare neanche uno spasimante al suo primo appuntamento con una coppia alle nozze d’argento. Eppure, sfido chiunque a dire che entrambi non siano amori irrazionali.

E poi, confondere fede e irrazionalità (parlando d’amore e di innamoramento, l’irrazionalità come abbiamo visto c’entra) è secondo me pericolosissimo: la fede non è irrazionale: è un discorso che va su un’altra dimensione.

 

Insomma: qualsiasi tentativo di portare la fede su un terreno filosofico deve fronteggiare secondo me ostacoli notevoli. Al di là delle aberrazioni logiche del tipo “se ogni popolo della terra in qualsiasi epoca ha creduto in qualche divinità questo vuol dire che è un’esigenza profondamente radicata nell’uomo, forse un tratto addirittura costitutivo” (poichè millenni fa ogni popolo della terra credeva che questa fosse piatta, allora la piattitudine era radicata nell’uomo come tratto costitutivo. Il nostro pianeta, fortunatamente, è rimasto rotondo, noncurante delle opinioni) ciò che vorrei fosse chiaro è che la differenza non è tra chi “ha fede in qualcosa” e chi “ha fede nell’assenza”, ma tra la fede e “l’assenza della fede”. Invertendo i vocaboli, l’equivoco secondo me cade.

 

Michelson e Morley credevano nell’etere; poi hanno fatto il loro esperimento e hanno smesso di crederci (aprendo le porte alla Relatività di Einstein). Pur credendo, con il loro esperimento, di poterlo dimostrare.

Al tempo stesso credevano ognuno nel loro Dio. E nessun esperimento poteva far smettere loro di farlo.

(2 – fine)

 

 

La prima parte è qui