Da qualche tempo mi capita di interagire sui social network con gruppi di filosofia molto interessanti. Ho deciso di portare qui alcuni spunti di discussione che sono lì scaturiti. Formalizzando quelle discussioni, spero di riuscire a fornire non tanto argomenti per riflettere, quanto occasioni di dialogo. Per dirla con Pierre Hadot, il filosofo francese esperto – tra le altre cose – di ellenismo, sono esercizi spirituali che spero di poter condividere con qualcuno.

 

Due affermazioni su Dio e sulla fede mi hanno colpito particolarmente. Esse affermano che:

1) La perfezione del creato sarebbe assolutamente illogica se fosse solo frutto del caso. Dio è quindi un ente necessario per tutto ciò che vediamo e sperimentiamo. Prendiamo la forma di un cavolfiore, a esempio. Come è possibile che sia solo frutto del caso?

2) La Fede è un qualcosa di universale, che ha anche chi non crede. Se facciamo un passo è perché crediamo che avanzando con il piede cammineremo, anche se nulla ci può far essere sicuri che questa cosa avvenga nel futuro.

Rispondere a questi due punti è importante, perché coinvolge non solo la nostra visione del mondo filosofica, ma anche la maniera in cui parole come “caso” e “logica”, se usate in ambiti diversi, possano significare cose anche opposte. In particolar modo, se si vuole interpretare la realtà prescindendo dalla visione scientifica di essa dobbiamo specificare che caso diventa sinonimo di caos (ossia “nessun ordine”), e logica sinonimo di “volontà”. Solo tramite queste due specificazioni il secondo punto può essere comprensibile. C’è una concezione finalistica del mondo che presuppone che ogni effetti abbia una causa motrice.

Questo discorso vale fino a quando non voglia essere messo alla prova dei fatti. Caos e volontà sono infatti due concetti non falsificabili. Il primo perché per definizione non ha ordine riconoscibile, e quindi non è “qualcosa” a tutti gli effetti; la seconda perché non va giustificata.

Se però vogliamo portare questo tipo di discorso su un terreno meno fideistico e più analitico, dobbiamo usare le parole “caso” e “logica” in maniera diversa: La struttura del cavolfiore a esempio, pur sembrando casuale ha un ordine che, per chiunque non voglia approfondirne lo studio, ha del portentoso: senza volontà, solo col caso, raggiungo un ordine che deve quindi venire dall’esterno.

Ebbene, quella struttura è invece la dimostrazione di come sia il caso (nella sua accezione scientifica, ovvio), e non il “disegno intelligente” a governare il mondo. Cresce infatti secondo un rapporto chiamato “sezione aurea” che è comune a molte strutture presenti in natura, è che è dovuto all’efficacia del crescere mantenendo al contempo le stesse proporzioni, a esempio, tra lunghezza e larghezza dell’organismo. Studiare la sezione aurea, oppure la successione numerica di Fibonacci (che alla fine è la stessa cosa), oppure la funzione Zeta di Riemann (e anche qui potremmo dire che è la stessa cosa), oppure l’entropia (e alla fine…) fa entrare in un mondo dove non solo il concetto di “Dio” non è necessario, ma diventi addirittura controproducente. Ossia, il caso inteso come operazione incosciente (non casuale: incosciente; e quindi priva di volontà) organizza il mondo secondo strutture che possiamo poi percepire. Il fatto che siano di maggiore o minore difficoltà di concezione o di realizzazione non implica il fatto che ci sia un ente che ha “voluto” (volontà) tale realtà. Questa estrapolazione concettuale “reifica” Dio, ossia lo rende qualcosa di esistente non solo come prodotto del pensiero, ma anche come entità esterna e quindi, in teoria, percepibile.

Ma se fosse percepibile, sarebbe anche falsificabile. Tutto ciò che io posso percepire, infatti, e qualcosa che posso anche confutare, ossia immaginare dovuto a cause diverse da quelle ipotizzate reali. Facciamo un esempio: posso ipotizzare una teoria secondo la quale Saturno è composto di gelato all’anice. Idea deduttiva, dovuta al colore simile e alla forma schiacciata ai poli che ricorda quella di una palla di gelato. Gli anelli? Posso ipotizzare siano granella di nocciola finissima che in origine era sul gelato e poi si è staccata.

Questa teoria, essendo verificabile con un esperimento, è di conseguenza anche falsificabile: posso sapere se è vera o no in modo oggettivo tramite un esperimento, una percezione tramite i sensi della realtà.

Ma se dico che Saturno è il pianeta che influenza la mia personale vita, non esiste nessun esperimento che possa confutare o meno questa ipotesi. È non falsificabile, appunto. Ossia compio un atto di fede (ho la volontà di compiere un atto di fede), e estrapolando il concetto “reifico” la mia fede in Saturno e nel suo effetto che io presumo. Ma attenzione: Saturno è falsificabile, il suo effetto su di me no.

Un concetto del genere non ha bisogno della scienza: anzi diventa negativa per esso. Allora, o si analizza il concetto di “Dio” attraverso le lenti della coscienza e di come sia diventato un prodotto della mente umana, o se lo si vuole “esternalizzare” nel mondo, lo si deve vedere come essere “in-cosciente”.

(1 – continua)

La seconda parte qui