Il taglio dei parlamentari, ossia dell’unico potere eletto direttamente dal popolo secondo la nostra Costituzione, è assolutamente negativo. Provo – per punti – a spiegare perché:

1) nel 2016 si votò NO (me compreso) ad una riforma simile, che diminuiva numero e ruolo dei parlamentari. Non si vede perché dopo quattro anni si dovrebbe votare SI solo perché chi la presenta non si chiama Matteo.
2) Il fatto che una riduzione dei parlamentari sia stata suggerita sin dagli anni ’90 anche da persone degne di stima assoluta come la Iotti non ne cambia la negatività: non si vota SI o NO perché ce lo dice qualcuno, ma perché ci siamo fatti un’idea. Senza contare che anche i migliori non indovinano tutto al 100%.
3) Il fatto che il taglio sia “giustificato” dal fatto che nel ’48 non ci fossero gli enti regionali e in genere la “devolution” è una clamorosa scusa: le competenze del legislativo sono ben altre (e, a dirla tutta, è la devolution ad aver rovinato tante cose, vedi la sanità in Lombardia con l’emergenza COVID). Il numero scelto dai padri costituenti (quando l’italia aveva parecchi milioni di persone in meno) era invece meditato, perché rappresentava la peculiarità, tutta italiana, di essere un mosaico di popolazioni.
4) Se si vogliono parlamentari degni di questo nome (che non votino che Ruby è nipote di Mubarak o facciano scenate alla Sgarbi), bisogna scegliere meglio chi votare (magari informandosi e non cedendo a Papeetismi vari) e forzare a cambiare legge elettorale: se i padri costituenti hanno fatto un errore, fu quello di non mettere la legge elettorale in Costituzione. Il bicameralismo “perfetto”, infatti, era mediato da due camere che venivano elette in modi (nazionale la bassa, regionale la alta, proporzionale la bassa, per collegi la alta) e tempi (5 anni la bassa, 6 anni la alta) diversi. Cosa che essendo cambiabile con legge ordinaria, i partiti (cioè la DC, il “baluardo contro i comunisti”) fece da subito già alla prima legislatura.
5) Ridurre il numero di persone per deputato e senatore pone netti problemi di rappresentatività, facendo l’Italia uno dei paesi con meno deputati per 100.000 abitanti in Europa (confronti con realtà diversissime per storie e culture non si possono fare)

Insomma: così come quella di Renzi nel 2016, questa è una riforma che – titillando il populismo che fa tanta breccia demagogica ma che ha il fiato corto – tende, come tutte quelle costituzionali, a depauperare il potere legislativo, l’unico eletto direttamente dal popolo, delle sue prerogative. Detesto citare Andreotti perché la crisi attuale è soprattutto colpa della sua politica, ma quando diceva che “In Italia si è avuto un governo stabile per 20 anni e non mi sembra fosse l’ideale”, aveva ragione.