Questa domesticazione “al contrario” ha portato per l’uomo ovviamente alcuni effetti benefici: una più continua disponibilità di cibo a esempio (pensate al latte bovino); ma anche alcuni indubbi effetti negativi: ciò che prima era disponibile solo “allungando una mano”, per così dire, adesso dovevi lavorare per guadagnartelo.

E se questo vi ricorda un mito ben conosciuto… beh: siamo sulla giusta strada. Questo sviluppo dell’uomo è parallelo – e a parere di chi scrive anche con un nesso causale – ad uno sviluppo ben diverso, e di importanza ben maggiore per i destini della nostra specie: l’avvento della coscienza, ossia il fatto che siamo in grado di “vedere noi stessi dall’esterno”, programmando il futuro in base al passato. Come ha scritto Pievani, “L’uomo è l’unica creatura che si rifiuta di essere ciò che è”.

Solo con una visione chiara del futuro, allevamento e agricoltura sono comprensibili infatti. Che i “domesticati” siamo noi, lo si può vedere anche tramite l’esperimento di Belayev e Trut del 1959 (link: ricordiamoli questi nomi, eroi scientifici nell’epoca folle dell’URSS di Lysenko).

Guardate cosa succede alle razze domesticate, e pensate alla differenza tra l’Homo Sapiens e Homo Neanderthalis: notate nulla di strano?