E alla fine, anche lui è arrivato agli ottanta anni; sei in meno di quanti ne aveva un presidente della Repubblica con il quale faceva coppia a scopone scientifico nella più famosa partita a carte – probabilmente – della storia della repubblica. Lui e quel presidente, che di nome faceva Sandro Pertini, sono tra le figure più amate dagli italiani. Anche per questo è ancora più importante fare gli auguri a Dino Zoff, che il 28 febbraio 2022 compie ottanta anni. Siamo sicuri che gli farà molto piacere sentire che comunque ci si ricorda di lui sempre, e non solo nelle grandi occasioni come questa, come se fosse una reliquia. Qualcosa di ciò che è stato ed è è rimasto in maniera indelebile nella pelle di tutti noi tifosi di calcio. E’ questo forse il complimento più bello che possiamo fargli.

Perdonatemi se cito un episodio personale: campionato 1976-77 e relativo album Panini. Era l’anno di Juve-Toro 51 punti a 50 (su 60 disponibili!), con la Vecchia Signora che si riprendeva lo scudetto che i concittadini granata gli avevano tolto l’anno prima, e conquistava contemporaneamente il suo primo trofeo europeo (coppa UEFA). Era anche l’anno (l’ultimo) delle figurine con i calciatori in azione durante le partite.

 

Mancavano solo cinque figurine al completamento del mio album, ed una era proprio quella di Zoff. Non ne potevo più di Alessandrelli, uno dei tanti secondi “inutili” del portiere bianconero, del quale avevo credo cinque o sei doppioni. Comprare una bustina di figurine a primavera inoltrata era ormai quasi una garanzia di buttare i soldi; eppure, decisi di farlo comunque: una bustina sola. Zoff era la prima figurina. L’emozione di vedere il portierone della nazionale in maglia verde cercare di salvare un pallone che stava entrando in porta la ricordo ancora adesso: lo avevo trovato!

Questo episodio da l’idea di come io – ma credo sia un sentimento generalizzato – ho sempre considerato Dino, sin da quando, piccolissimo, sentire la voce del telecronista dire “parata di Zoff” mi dava sicurezza. Con uno così, mi dicevo, impossibile non vincere.

 

Portiere atipico, Dino, molto diverso dal funambolo sempre pronto a tuffi spettacolari o al “miracoloso” che, per usare le frasi tanto comuni nelle cronache sportive “salva gol già fatti”. L’impossibile, Zoff non lo ha mai parato. Ma il possibile lo ha parato tutto, dai tiri velenosi di Boninsegna ai bombardamenti subiti da quella forza della natura che era la nazionale olandese di Crujiff. E senza mai dare l’impressione di fare cose soprannaturali, ma solo quella di svolgere – onestamente – il proprio lavoro. Che, come racconta lui stesso nel bel libro sulla sua vita, è quello di portiere, e non di farmacista. Ed il lavoro che si è scelto era quello di parare, e non altro.

A pensarci bene, in tutta la sua vita pubblica Zoff è stato così: ha sempre svolto onestamente il proprio lavoro. Non solo come portiere (il miglior portiere italiano di tutti i tempi? Forse no, ma solo perché c’è Buffon), ma anche come Allenatore, come Presidente, come Commissario Tecnico. Sempre il più in silenzio possibile, sempre cercando di non avere più visibilità dello stretto necessario. In questo, è uno dei figli più emblematici della sua terra, il Friuli.

 

Così Pacifico Valussi, direttore della rivista “Il Friuli” nel XIX secolo, descriveva i suoi concittadini: “… i caratteri più specifici del Friuli, nella svariata bellezza ed amenità dei luoghi e nella maggiore potenza produttiva degli abitanti, ed anche nel carattere loro, in cui si combina la svegliatezza e la finezza dell’ingegno con un certo che di posato e di sodo, la dolcezza ed ingenua spontaneità dell’animo con una tinta di fiero e bravo proprio delle schiatte ancora giovani, ed anche nei costumi delle popolazioni corrobora una civiltà progredita con qualcosa di patriarcale che ne accresce il valore”. Per questo, pur non essendo austriaci, avevano tutti un’adorazione per l’imperatore d’Austria, da loro soprannominato Cecco Beppe, che rimaneva per loro il “patriarca” severo ma giusto sotto il quale si poteva progredire.

Di quel territorio Zoff ha tutto: a partire dal cognome (di eredità longobarda ma molto localizzato), al carattere taciturno, fino al viso, così simile a quello delle tante persone che, ultime ad essere italiane grazie alla grande guerra, hanno contribuito forse più di tutti allo sviluppo della nazione. Tali stigmate si vedono soprattutto ora, con il passare dell’età: la pelle delle palpebre che cade quasi a coprire l’occhio, il mento solcato da una ruga che sembra quasi una cicatrice, un accenno di couperose. Un volto che sa di lavoro, di serietà, di sacrificio. Tre parole che hanno fatto di Zoff, di Dino Zoff – portiere e capitano della nazionale campione del mondo 1982 – un personaggio destinato a rimanere non solo nella storia del calcio italiano e mondiale, ma nella cultura popolare – non populista, ma popolare – di questa nazione.

 

Zoff è Italia Brasile ’82, certo, forse come e più di Paolo Rossi. Nessuno che abbia assistito a quella partita in diretta, raccontata magnificamente da un altro orgoglio italiano come Nando Martellini, credo dimenticherà mai la sua parata sulla linea all’ultimo minuto o quella benedetta, fantastica bestemmia rivolta a Cabrini per posizionare meglio la barriera. Ma è in realtà molto di più.

È la capacità di credere in sé stessi dopo un esordio in serie A dove si sono prese cinque reti, è la tenacia nell’inseguire una carriera partendo da quella terra silenziosa ed umile per passare alla felice provincia Mantovana e poi all’inesauribile allegria napoletana, ed infine alla corte di Agnelli a Torino, passando per tutto ciò senza mai smettere per un attimo di essere se stesso.

È, come diceva Kipling nella poesia If, “incontrare trionfo e disfatta e trattarli entrambe allo stesso modo”.

È la dignità di uomo espressa senza mai fare polemiche o chiassate fuori luogo. E ne avrebbe avuto ben donde in parecchie occasioni, a cominciare dalle critiche di Brera nel mondiale argentino del ’78, quando lo invitò a curarsi le diottrie per non aver visto i tiri da lontano di Olanda e Brasile che diedero alla nazionale il quarto posto, dopo che si era sognata la finale. A 36 anni un giudizio di quel gran giornalista (ma sfortunato creatore di pronostici calcistici) che era gioanbrerafucarlo poteva voler dire la fine di una carriera. Zoff rispose con un mondiale vinto a 40 anni, in Spagna.

 

E a questo proposito ricordiamo anche la storia, poco citata, delle sue dimissioni da Commissario Tecnico della Nazionale di calcio nel 2000: dopo aver perso un campionato Europeo all’ultimo secondo (ed anche di più: in quella finale la Francia pareggiò al 93’, ed i supplementari durarono poco, grazie alla insulsa regola – ora fortunatamente abolita – del golden goal), Silvio Berlusconi, principale esponente dell’opposizione al governo ed in procinto di ritornare ad essere Presidente del Consiglio– si permise una critica “tecnica” alla conduzione di quella partita; critiche che era non solo scriteriata (bastava che la partita durasse venti secondi di meno per vincere) ma anche fuori luogo visto il ruolo che ricopriva l’allora Cavaliere, oltre che violenta nei termini. La reazione di Zoff fu esemplare: dimissioni immediate visto che non sappiamo – ma lo immaginiamo benissimo – per quale motivo nessuno, in Federazione, prese chiaramente le sue difese. Nessuno strepito verso Berlusconi, anche se quel silenzio marcò la differenza tra lo spessore dei due uomini molto di più di tante parole.

 

L’averlo saputo malato, qualche anno fa, aveva colpito tutti: la naturale ritrosia a comparire gli ha fatto gestire mediaticamente anche questo drammatico evento nel migliore dei modi.

 

Auguri Dino, e grazie per aver fatto sognare e regalato emozioni ad un bambino che ora ha più di mezzo secolo.